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Classica, innovativa, introspettiva: le tre anime di Gustave Dorè
Probabilmente le sue illustrazioni le abbiamo viste tutti su un libro di storia, letteratura o arte, eppure il nome di Gustave Dorè non va mai oltre alla definizione di disegnatore ed illustratore: due qualità che, sebbene lo abbiano consacrato all’eternità, sono ampiamente minime rispetto al genio artistico racchiuso in lui, che era appunto classico, innovativo ed introspettivo.
Nato a Strasburgo il 6 giugno 1832, Paul Gustave Louis Cristophe Dorè fu già dalla prima infanzia un prodigioso ed entusiasta autodidatta: incline al disegno già a sei anni, pubblicò i primi lavori all’età di quindici anni in un giornale; si formò poi al Louvre con caricature e litografie. Dopo la pubblicazione dell'illustrazione “Storia pittoresca, drammatica e umoristica della Santa Russia”, ricevette numerosissime commissioni che gli procurarono immediata fama europea di illustratore ed incisore: oltre alle più famose illustrazioni dell’Inferno di Dante Alighieri e del Don Chisciotte di Cervantes, numerosi furono i classici e contemporanei letterari a lui commissionati. Dal 1870 cominciò a dedicarsi alla pittura e alla scultura, senza ottenere però un grande successo; morì a Parigi il 23 gennaio 1883.
Virtuoso in tutte le arti visive – disegno, pittura, acquerello, scultura, incisione – e tecnicamente dotato di un’eleganza tanto nel tratto quanto nella rappresentazione simbolica delle scene, Gustave Dorè viene principalmente ricordato per le illustrazioni di importanti testi letterari, la cui difficoltà è ovviamente nota, ma che (a mio parere) non esprimono alla perfezione il genio del grande artista francese.
Nonostante la stima dei colleghi, Dorè non fu mai accettato dagli accademici: l’estro, la personalità, che amava mostrare in tutta la loro spensieratezza (fino ad esser visto come un buontempone vista la partecipazione frequente a sagre, feste e serate mondane) venivano esternate direttamente all’interno delle opere: zingari, saltimbanchi, artisti di strada sono difatti figure ricorrenti e rappresentate in chiave romantica; Pierrot – l’iconica maschera del mimo malinconico – non solo era la preferita dell’artista, che vestiva spesso - ma anche la rappresentazione più simbolica ed ermetica della versatilità spirituale ed emotiva dell’artista, sempre preda e predatore del proprio estro.
Volubile agli eventi, tanto da rappresentare con colorazioni più scure gli eventi più tragici o i temi più oscuri, Dorè fu anche un provetto artista religioso (si vedano le illustrazioni della Sacra Bibbia, ispirate da Rembrandt e poi modello durante il corso dei decenni successivi) e paesaggista d’ispirazione romantica: in alcuni suoi disegni e dipinti, le vedute (chiaramente ispirate a Caspar David Friedrich) evidenziano non solo l’annientamento spirituale dell’Uomo nella Natura, ma anche le riflessioni quasi religiose di quest’ultima in pieno accordo con l’ideale del sublime, ovvero la rappresentazione dell’essere umano come inerme di fronte alla manifestazione della natura.
Di Gustave Dorè molto si potrebbe ancora scrivere, perché la sua Arte, che ha abbracciato tanto i classici quanto i contemporanei (traendo ispirazione da una moltitudine assai variegata di stili e ideali) è e sempre sarà un’eterna glorificazione della versatilità dell’estro. Thomas Mann lo direbbe così: “Essere artista ha sempre significato possedere ragione e sogni”.
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