
Musica
24 Feb 2018
Una vita in vacanza (?)
Una vita in vacanza, classificatasi al secondo posto a Sanremo, intercetta sentimenti umani molto diffusi tra la gente: il lavoro assolutizzato e al tempo stesso precario; la necessità di dover continuamente cambiare mestiere o inventarsi le professioni più improbabili perché «non c’è niente di nuovo che avanza»; la frustrazione provocata da un lavoro che assorbe tutte le energie e non fa più respirare; l’ingiustizia di dover «vivere per lavorare», mentre si dovrebbe «lavorare per vivere»; la preoccupazione di (non) essere all’altezza di una data mansione, perché «se sbagli sei fuori»; la corruzione di chi delinque per lavorare («qualche volta fai il ladro») e la triste condizione di chi patisce («o fai il derubato»); la tendenza a coprire con i soldi un vuoto esistenziale («fare soldi per non pensare»).
La «vecchia che balla» (Paddy Jones, 84 anni), che a un certo punto compare sul palco, è assolutamente esemplare (un’agilità invidiabile!), ma al tempo stesso lascia un senso di malinconia. Cosa significa quella presenza? Che bisogna continuare a lavorare fino a quell’età? Che non c’è più spazio per i giovani?[1]
La domanda allora batte il chiodo: «perché lo fai, perché non te ne vai?». Da qui il sogno-utopico di un mondo diverso: «una vita in vacanza» come metafora del bisogno di leggerezza. La vacanza è un luogo in cui si torna a respirare e ci si riappropria del «tempo perso», e così la vita è vissuta davvero: ogni attimo assaporato, ogni passo gustato.
Un malessere sociale, dunque, quello denunciato da Lo Stato Sociale, con la grinta e l’ironia degli ultimi autarchici. Ai vuoti a perdere della società e alla mortificazione del “tanto rumore per nulla” quotidiano, questi cinque ragazzi bolognesi, oppongono la loro musica. È un invito alle nuove generazioni a non rassegnarsi, a non appiattirsi, ma a provare a cambiare le cose (quanto meno il proprio atteggiamento interiore!) e a non mollare. Se il mondo va così, forse la responsabilità è di chi ha sempre pensato che i giovani non sappiano fare niente. Ma forse è anche un po’ colpa dei giovani che si sono impigriti e che non hanno più il coraggio di vivere davvero perché prigionieri di una vita virtuale. Allora l’invito è ad alzare la testa dai cellulari e a guardare in faccia la realtà: la soluzione non è scappare, ma assumersi le proprie responsabilità e tornare a dare senso al vivere qui e ora, «per un mondo (davvero) diverso».
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[1] Alessio Magoga, “Sanremo, non solo canzonette…”, L’Azione 22/02/2018
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