
Storie
26 Apr 2017

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Resistere, senz'armi: testimonianze locali
Per non dimenticare il loro sacrificio. Ma anche come messaggio per la pace tra i popoli. Nell’ambito delle celebrazioni del 25 aprile presso il Monumento alla Resistenza in viale Istria a Conegliano, per iniziativa del Comune e della locale sezione dell'Associazione ex Internati, presieduta da Giulia Perini, è stata collocata una targa, con iscritto il motto "La verità è garanzia di libertà" di Papa Giavanni Paolo II, a perenne ricordo dei militari coneglianesi che, a seguito degli eventi dell’8 settembre 1943, furono catturati dai Tedeschi e deportati in Germania. Nella ricerca storica “Nacht und Nebel – Da Conegliano ad Auschwitz”, curata dal professor Pier Vittorio Pucci, quand'era docente al Liceo Marconi, e pubblicata dal Comune di Conegliano, è quantificato in oltre mille il numero dei militari dei 13 Comuni del Coneglianese che furono deportati. Di essi ben 104 vi trovarono la morte, per fame, per inedia, per malattie o uccisi. Le vittime del solo Comune di Conegliano furono 14: Luigi Bragagnolo, Attilio Cancian, Gino Casagrande, Giovanni Casagrande, Giovanni Dalto, Giuseppe Del Pio, Anacleto De Martin, Gino Fracasso, Giobatta Manzato, Eugenio Passarelli, Bruno Pasut, Oddino Perinot, Augusto Santin e Dino Teot. La scelta di porre la targa commemorativa presso il Monumento alla Resistenza che conserva la terra di Auschwitz, portata in città in occasione del primo dei pellegrinaggi che annualmente le scuole della città da più di un decennio fanno in quella località polacca, che evoca una delle più terribili tragedie del secolo scorso, e di inserire l’evento nell’ambito delle celebrazioni del 25 Aprile non è stata certo casuale. «Quella targa commemorativa - fa notare il professor Pucci - è non solo il doveroso ricordo della deportazione dei nostri militari, ma è soprattutto il riconoscimento del valore della loro Resistenza “silenziosa", rifiutando l'uso delle armi». Le testimonianze di Giordano Bernardi di Santa Lucia di Piave e di Antonio Zardetto di Susegana, che si sono salvati e hanno avuto la fortuna di tornare a casa alla fine della guerra, sono eloquenti: «Giunti al lager di Sandbostel - riferiva Giordano Bernardi - i tedeschi ci proposero di entrare nel loro esercito. O con i tedeschi o nei lager. Era una scelta difficile ma tutti abbiamo risposto “No!”. Come potevamo scegliere di andare a combattere contro i nostri connazionali?» . E Antonio Zardetto, internato a Fullen: «Tutti noi, sebbene fosse grande il desiderio di ritornare in Patria e rivedere le nostre famiglie, abbiamo accettato il peso della responsabilità. E di noi la storia non potrà mai dire che abbiamo fatto ritorno come nemici per combattere i nostri fratelli. Per questo motivo abbiamo subìto le percosse, la fame, le torture, le umiliazioni più grandi».
Foto Da Ros & Pollesel - Conegliano

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