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Matteo Berrettini (Ansa)
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Novak Djokovic si complimenta con Matteo Berrettini (Fanpage)
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Nulla è impossibile a chi (ci) crede
Nulla è impossibile a chi (ci) crede. La giornata di ieri, che passa alla storia, 11 luglio 2021, si può ben riassumere con questo slogan. Il piccolo Davide contro il gigante Golia. La forza di un sogno.
Prima sul campo da tennis: Matteo Berrettini contro Novak Đoković. Questa volta, come ben sappiamo, il venticinquenne italiano non è riuscito a battere il gigante serbo, ma gli ha lasciato comunque i segni sulla pelle («È stata più di una battaglia, è stata durissima: ha il martello al posto del braccio, ho ancora i segni sulla pelle»[1]) e ha scritto la pagina di storia più luminosa del tennis italiano: il primo italiano che sia mai arrivato alla finale di singolare maschile di Wimbledon. Sogno. Realtà.
E poi sul campo da calcio: Italia contro Inghilterra. L’Italia è veramente piccola, schiacciata dalla tifoseria di casa. Una macchietta azzurra in uno stadio colorato di bianco. Una minoranza, a tutti gli effetti. I fischi non lasciano dubbi. Sembra arduo anche solo sperare. E il primo tempo, con un goal inglese a due minuti dall’inizio, stordisce. Esaltazione nella maggioranza, scoramento nella minoranza. O si reagisce, e ci si crede nonostante tutto, o si indietreggia, lasciando ai padroni di casa l’onore di posare sotto il mitico arco di Wembley. E l’Italia reagisce, mettendo a dura prova l’aplomb inglese, con una tenacia e uno spirito di squadra che hanno dell’incredibile. Nessun “top player”, ma la forza di un gruppo («Credo sia la base di tutti i gruppi di lavoro: il feeling tra le persone che stanno bene insieme»[2]). Maestri a casa loro. Fino a strappare agli inglesi la vittoria, ai calci di rigore. Sogno. Realtà.
Esplode la minoranza italiana a Wembley, esplodono gli italiani in casa, per le strade. Mi pare che il gioco del calcio, al di là delle sterili polemiche, abbia questo di bello: unisce. E mai come quest’anno abbiamo il bisogno di sentirci uniti. In quell’esultazione finale, condivisa dall’intera nazione, c’è tutto quello che non ci siamo detti e non abbiamo fatto per mesi, tutto quello che abbiamo provato in un anno di emergenza e di restrizioni. Se stanchezza e preoccupazioni ci sono ancora, ieri di certo sono state messe tra parentesi, per dar libero sfogo alla voglia di uscire, incontrare l’altro, abbracciarci, sorridere, fare squadra. Lo sport può forse indicarci una via per attraversare questo tempo: crederci, uniti.
Era “impossibile” per Berrettini anche solo sperare di poter arrivare alla finale di Wimbledon e giocarsela con un campione del calibro di Đoković. Invece ci ha creduto. E, con il prezioso supporto del suo team[3], ci è arrivato. Se l’è giocata.
Era “impossibile” per l’Italia pensare di battere i padroni di casa al Campionato europeo[4]. Pronostici sfavorevoli, tifoseria risicata. Eppure la squadra ci ha creduto. E l’arco di Wembley si è fatto tricolore.
Ripartiamo da qui. Da un’Italia coesa.
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