
Non solo materia
05 Apr 2020
Serve o non serve pregare?
In questi giorni in cui la realtà è così dura da affrontare e difficile da capire sono tante le preghiere che vengono levate a Dio affinché fermi l’epidemia. Ma servono veramente queste preghiere a Dio o forse sarebbe meglio rimboccarsi le maniche e fare qualcosa di più concreto? È un’obiezione che nasce comprensibilmente se teniamo separati il piano della vita spirituale e il piano della vita quotidiana. Per fare di questi due ingredienti una torta – una vita buona, che abbia gusto – dobbiamo trovare il modo di metterli insieme: mescolare la vita di ogni giorno con le cose che contano. Ogni istante della nostra vita è permeato di sacro. È la teologia dell’incarnazione: la strada tracciata da Cristo con la sua esistenza terrena. Quindi non un Dio estraneo, ma un Dio dentro la storia, profondamente invischiato nelle trame della nostra storia.
Allora, a cosa serve pregarLo?
Innanzitutto, proprio in virtù di questa comunione profonda, la preghiera - come direbbe Sant’Agostino - è espressione del desiderio innato, spontaneo, che l’uomo ha di Dio. Non un Dio dai super-poteri, ma un Dio-Uomo che gioisce e patisce con noi; un Dio-Uomo che assume su di sé il male del mondo, muore in croce e il terzo giorno risorge, aprendoci una prospettiva di luce, di speranza sempre-viva.
Il fraintendimento è pensare che la preghiera debba salvarci dal quotidiano. Cristo non ci salva dal quotidiano. Cristo ci salva nel quotidiano. Non ci porta alternative, eccezioni, ma ci tiene per mano, ci accompagna qui e ora.
“Chi vuol essere mio discepolo, prenda la sua Croce ogni giorno e mi segua” (Lc 9, 23)
La realtà è fatta di cose che noi scegliamo e di cose che noi non scegliamo ma semplicemente accadono. Questa è la Croce. Assumerla vuol dire farsi carico di tutta la realtà. Il cristiano-discepolo non è uno che tiene sotto controllo ogni cosa, ma è uno che abbraccia tutta la realtà, consapevole che gran parte di quella realtà non dipende dalle sue scelte, e ciononostante è disposto a farsene carico, tentando di seguire Cristo anche in quelle cose che non ha scelto ma gli sono piombate addosso. È faticoso certo, ma è proprio nella fatica, nella noia o nella sofferenza, che si gioca la nostra vocazione alla santità, da un lato, e l’azione salvatrice di Cristo, dall’altro.
Allora la preghiera non è via di fuga, ma è forza e sostegno nel nostro quotidiano, proprio per farsi carico di quello che succede ogni giorno e trasformalo da peso in opportunità.
Entrando in relazione con Dio, ci accorgeremo che non sarà la realtà a cambiare, ma noi stessi. La presenza accanto a noi di chi ci ama cambia tutto: vuol dire guardare con gli occhi di Dio la nostra vita, affrontare gli eventi con coraggio e speranza, quindi riversare positività anche negli altri e nelle cose che facciamo. Pregare Dio perché fermi l’epidemia, in fondo, vuol dire chiederGli di farlo attraverso di noi o attraverso tanti uomini di buona volontà a cui Lui ha già cambiato lo sguardo, l’atteggiamento e il cuore.
Lo spiega bene, in un video, don Alberto Ravagnani, giovane prete di Busto Arsizio (Varese), citando Sant'Ignazio di Loyola: “Prega come se tutto dipendesse da Dio e agisci come se tutto dipendesse da te”. Con il Suo aiuto, con la Sua Presenza, noi ce la faremo!
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